Raccontare il mare è un libro molto particolare e più avanti capirete cosa intendo, di conseguenza, ho quindi deciso di strutturare il post come una raccolta di frammenti, in linea con la struttura del testo, nell’intento di trasmettervi alcune considerazioni che ho sottolineato durante la lettura (sì, sono una di quelle persone orribili che sottolineano i libri) e che mi hanno colpita, per un motivo o per l’altro.
Se poi vi avrò fatto venir voglia di leggere l’opera integralmente, non potrò che esserne contenta, visto che ciò che troverete da qui in avanti non è altro che la punta dell’iceberg delle sorprese che questo volumetto può riservare.
Raccontare il mare, di Björn Larsson, è il primo libro che ho letto edito da Iperborea. Ha un formato insolito (10 x 20 cm) che senza dubbio attira l’attenzione in mezzo agli altri libri sullo scaffale. Anche la copertina ruvida incuriosisce, insieme ai colori pastello dell’illustrazione.
Ho aperto il libro sull’ultima pagina, come sempre:
Martinson ci ricorda che tutti hanno diritto di esistere, non solo i grandi e gli importanti di questo mondo, ma anche quelli che vivono con discrezione alla periferia del turbine della storia, quelli che altrimenti sarebbero come la scia di una nave.
Ho aperto di nuovo il libro, questa volta a caso, e la sorte ha scelto pagina 120:
A volte per capire l’universo di uno scrittore bisogna chiedersi anche di che cosa non parla.
Pensavo fosse un saggio sui viaggi per mare, visto che era nella sezione viaggi, quindi perché l’autore si soffermava a riflettere sulla scrittura?
Ormai la scintilla era scattata e volevo leggerlo tutto.
L’ho preso e l’ho letto in un paio di giorni. È un libricino piccolo, da 185 pagine, ma ognuna di quelle pagine ha avuto la capacità di spingermi a voltarla e a leggere la successiva.
Non è un libro di racconti di viaggi, non è un saggio sulla vita di mare, non è nemmeno un romanzo di avventura.
E allora cos’è?
Vediamo se indovinate, vi do un piccolo indizio.
Il titolo della prefazione è “prefazione alle prefazioni”.
Indovinato?
Lascerò che sia l’autore a darvi una risposta:
Mi è capitato di accettare di scrivere alcune prefazioni a libri di mare che mi avevano particolarmente fatto sognare o riflettere. L’idea di riunirle in un unico volume mi è venuta dopo aver terminato quella per “Lo specchio del mare” di Conrad […]. Guardando la lista delle prefazioni mi è sembrato che il resto valesse anche per gli altri […] libri fuori da ogni categoria e spesso relegati sugli scaffali di letteratura specializzata. Così ho pensato che ripresentandoli tutti insieme magari potessero stimolare qualcuno a scoprirli o rileggerli.”
Se ancora qualcuno avesse dei dubbi, si tratta proprio di una raccolta di prefazioni.
Qualche riga più in basso rispetto a quelle citate, l’autore specifica che alcune prefazioni inserite nella raccolta sono false e scritte apposta per l’occasione, dal momento che nella lista delle prefazioni già pubblicate mancavano alcuni titoli per lui fondamentali.
Come ho detto prima, Raccontare il mare è un’opera particolare, un insieme di testi dedicati ai libri amati dall’autore, il tutto collegato da un unico filo conduttore: come il mare viene raccontato.
Tra le pagine ci sono anche piccoli ammonimenti o considerazioni inerenti al mondo della scrittura, accompagnati da riflessioni sulla letteratura poste a confronto con il mare o con la vita del marinaio.
Dire che bisogna aver vissuto quello che si vuole raccontare significa anche dimenticare che il difficile non è avere qualcosa da dire o una storia, vera o no, da narrare, ma è proprio il metterla per iscritto, nero su bianco, a far sì che il lettore possa provare o sentire quello che gli viene raccontato. Non si diventa scrittori perché si ha avuto una vita interessante, ma semplicemente perché se si sa scrivere. E se bastasse!
Il marinaio che mette radici perde presto il suo potere di sedurre e far sognare […] Niente porti di attracco per la letteratura. La letteratura non deve collaborare a costruire nazioni, deve incitare a disfarle, il che non vuol dire navigare sotto bandiera di comodo, tanto meno bandiera bianca, ma navigare senza nessuna bandiera.
Da questo momento in avanti, l’autore presenta le prefazioni di cui vi accennavo prima. Confesso di non aver letto nessuno dei libri citati e di averne scoperti alcuni che di sicuro leggerò in futuro.
Lo specchio del mare – Joseph Conrad
Non sono un’amante di Conrad. Delle sue opere ho letto solo Cuore di tenebra, in lingua originale, e l’ho trovato molto confuso. Anche il momento di climax, in cui ho “incontrato” Kurtz per la prima volta, mi ha lasciata un po’ con l’amaro in bocca.
Nonostante queste premesse, Larsson è riuscito a incuriosirmi.
Conrad ci mette in guardia dal pericolo di amare il mare, arrivando perfino a dire che chi ama il mare è uno stupido. Il suo rapporto con il mare è di una concretezza puntigliosa, ben lontana dalla mitologia degli orizzonti infiniti. Invano si cercano allusioni alla libertà del marinaio, se mai è la prigionia delle navi ferme nei porti a essere evocata […] Conrad parla anche della sua «solitudine» in mare e ammette tra le righe […] di non aver conosciuto l’amore nei suoi vent’anni di vita di bordo.
[…] È evidente che Conrad, così poco appassionato, non esita a usare la parola “passione” per parlare del suo rapporto con il mare. Se non amava davvero il mare e non sognava la libertà, né l’avventura, né l’estraniamento, quale può essere stato il combustibile che ha alimentato il suo fuoco interiore, fosse pure di una discrezione straordinaria, per vent’anni?
L’enigma delle sabbie – Erskine Childers
Ad avermi attratta, in questo caso, è stata la vita dell’autore, il quale nel 1897 ha fatto una crociera tra le isole della Frisia tedesca su un veliero, il Vixen. Questo viaggio è stato poi all’origine del suo unico romanzo, L’enigma delle sabbie.
Pur avendo radici irlandesi, Childers era un sostenitore dell’Impero britannico e, dopo la rivolta di Pasqua (a questo proposito, vi consiglio la lettura di Easter 1916, di Yeats), aveva ricevuto l’incarico di far parte della delegazione di Lloyd George ai negoziati per il trattato di Home Rule.
Negli anni successivi al fallimento delle trattative, Childers aveva cambiato opinione ed era diventato un nazionalista. In seguito si era schierato dalla parte dell’IRA durante la guerra civile scoppiata dopo l’indipendenza.
Childers era poi stato arrestato e condannato a morte. Prima di essere giustiziato all’arma bianca, si dice che abbia stretto la mano a tutti i soldati incaricati di ucciderlo e che li abbia anche invitati ad «avvicinarsi di qualche passo, così sarà più facile.»
Larsson si chiede che cosa, nell’unico romanzo di Childers, possa aver attratto così tanto i lettori da rendere L’enigma delle sabbie un minor classic e la risposta che dà è sorprendente.
Quel che è notevole ne L’enigma delle sabbie, e che raramente ho trovato in altri romanzi, è che il lettore è tenuto col fiato sospeso senza che succeda quasi niente, e soprattutto niente di spettacolare. È insomma un romanzo di suspense senza suspense.
[…]Il lettore non si sente mai al sicuro, mai tranquillo, nemmeno all’ormeggio, che basta un cambio di vento per diventare pericoloso. La navigazione è quindi in sé una fonte di suspense, non a causa di ciò che succederà in futuro, ma a causa del momento.
Solo, intorno al mondo – Joshua Slocum
Per quanto riguarda questo titolo, è forse l’unico di cui ho trovato superflua la prefazione.
Larsson ne ha citati alcuni passaggi e quelli sono bastati a farmi venire voglia di leggere l’opera di Slocum.
«Le bistecche di tartaruga, comunque, erano buone. Non avevo niente da ridire sul cuoco, e per tutto il viaggio valse la regola che il cuoco non avesse niente da ridire su di me. Non si è mai visto un equipaggio che andasse così d’accordo.»
«Cercavo di confrontare la mia situazione con quella dei vecchi circumnavigatori […] ma non mi era possibile riscontrare somiglianze […] Io ho solo esperienze piacevoli da raccontare, che arrivano a essere banali e prive di interesse.»
«C’era una specie di cigno più piccolo di un’anatra muschiata che avrei potuto abbattere con il fucile, ma nella mancanza di vita che caratterizzava quella terra tanto triste, non me la sarei sentita di distruggerne anche solo una, se non per difendermi.»
«Sono stati sempre giorni felici, ovunque la mia barca veleggiasse.»
Slocum, come constata anche Larsson, ispira tenerezza, sia quando definisce la sua circumnavigazione «banale e priva di interesse», sia quando rispetta la natura arida e inospitale in cui si viene a trovare nel corso del suo viaggio. Se a questo aggiungo la sottile ironia insita nel tacito accordo con il cuoco, non posso che sentirmi invogliata a conoscere l’opera di Slocum in prima persona.
Altre prefazioni
Oltre ai titoli che sono entrati a far parte della mia lista di letture future, Larsson riporta anche le seguenti prefazioni:
Sull’acqua – Maupassant
Giornale di bordo – Cristoforo Colombo
Nei mari dei pirati – Nicolò Carnimeo
Attesa sul mare – Francesco Biamonti
Riflessioni su Harry Martinson (di cui cita più opere, ponendole a confronto)
Le tribolazioni di Maqroll il Gabbiere – Álvaro Mutis
Non ho inserito Attesa sul mare tra le letture future, ma vorrei condividere con voi una considerazione che Larsson fa nella presentazione dell’opera di Biamonti.
Biamonti:
Adesso c’era silenzio e nulla in cui sperare.
«E dove andiamo?»
«Non lo so più.»
«Ma per lo meno non sei deluso.»
«Nel senso corrente no, non ho mai cercato di costruire.»
Larsson:
Queste affermazioni […] lascerebbero intendere che non è in Biamonti che possiamo cercare consolazione e speranza, la lezione è che è meglio abdicare, non serve a granché intestardirsi, resistere o ribellarsi, l’unica scelta ragionevole è lasciar fare e lasciarsi fare.
[…] Credo profondamente che una delle giustificazioni ultime della letteratura sia mostrare di cosa è capace l’essere umano nei suoi momenti migliori. […] Non credo vada presa alla lettera l’affermazione, ne “Il silenzio”, che non c’è più niente da sperare: non è una descrizione del mondo reale, se mai è una richiesta di aiuto, un avvertimento. Chi è veramente convinto che non c’è più speranza, non scriverebbe.
Per quanto riguarda gli altri autori citati da Larsson, vi consiglio davvero la lettura di Raccontare il mare.
La storia della vita di Harry Martinson, premio Nobel per la letteratura morto suicida del 1978, merita di essere conosciuta, così come la fugace considerazione che Larsson fa a proposito di Cristoforo Colombo e che non può lasciare indifferenti.
Di sicuro leggerò altro di questo autore, il quale si è già conquistato la mia ammirazione solo per il fatto di essere riuscito a farmi leggere una lunga lista di prefazioni di libri a me del tutto sconosciuti.
Inoltre, Larsson cita più volte Marcel, capitano di lungo corso del suo romanzo Il porto dei sogni incrociati, di cui ora voglio conoscere qualcosa in più.
Postfazione alle prefazioni
Larsson conclude con una postfazione in cui riflette sui numerosi racconti marinareschi di navigazioni più o meno lunghe attraverso mari e oceani. Si domanda se tali racconti possano essere considerati letteratura.
L’autore riferisce che, oltre a una mancanza di talento letterario (siamo tutti d’accordo che non ci si improvvisa scrittori, quindi talvolta il risultato di diari di viaggio scritti dai navigatori stessi è tutt’altro che apprezzabile), come in ogni racconto, il fascino della storia dipende dal personaggio principale e i navigatori-scrittori, pur avendo coraggio, non hanno una vita particolarmente romanzesca, di conseguenza, tali opere restano relegate agli scaffali destinati ai soli appassionati di vela o navigazione in genere.
Quello che solo, o soprattutto, ci affascina e ci appassiona, sono gli uomini o le donne alle prese con la realtà, individui che vi si confrontano e ne sono trasformati.
[…]
Senza queste storie, che non solo i marinai ma tutti noi ci raccontiamo, qualcosa di prezioso andrebbe irrimediabilmente perduto.
Com’è vero Chiara!
Il cantastorie è fondamentale per catturare l’immaginazione e suscitare curiosità.
A questo proposito ti segnalo un piccolo libro di Donato Carrisi “La donna dei fiori di carta” che ho letto in un giorno perché non riuscivo a staccarmene…
Mi è stato regalato a Natale da una persona speciale che mi conosce bene e non ha mai sbagliato quando mi ha regalato libri. 😉
“Chi è Guzman?
Chi sono io?
E chi era l’uomo che fumava sul ponte del Titanic?”
E’ la storia di Guzman, affabulatore che nei primi del novecento, per sbarcare il lunario, racconta storie.
Sì è proprio questa la sua abilità… il suo modo di intrattenere è ipnotico e si procura l’attenzione del pubblico.
L’abilità di Carrisi, forse dovuta anche all’esperienza di sceneggiatore, è tale per cui è stato impossibile non farsi travolgere dalla voglia di leggerlo tutto d’un fiato.
E’ una favola raccontata nel modo più intrigante possibile e mai banale. Ha suscitato la mia curiosità dalla prima all’ultima pagina tenendo sempre alto il ritmo. Non ti nego la strana sensazione di contrapposizione tra la voglia che il libro non finisse mai e quella di sapere come la storia si sarebbe conclusa.
La poesia che invade il testo è allo stato puro, non solo quella incisa sui fiori che il dottor Jacob Roumann trova nel suo camice ogni giorno, ma bensì il racconto del prigioniero è autentica poesia. La trama incuriosisce il lettore sino all’ultima pagina in quanto tutti vogliamo avere indizi sul grande amore. Sono innumerevoli le sensazioni che il libro ci lascia basta lasciarsi conquistare dalla penna mai banale dell’autore. Quando il racconto termina rimane nell’aria il profumo di sigaro e di vite vissute intensamente.
Proprio come sembrano essere quelle che tu hai consigliato tramite “Raccontare il mare”…
Ti confesso che non conosco i testi che cita ma indubbiamente le premesse di buone letture ci sono tutte!
Buon Anno! 🙂
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Ciao Mary,
perdona il ritardo nella risposta, in questi giorni sono stata lontana dalla blogosfera per ragioni che saranno rivelate nel post domenicale di questa (o della prossima) settima, in concomitanza con la nuova sezione di cui ti avevo accennato in un precedente commento.
Non conosco Carrisi ma, dal trasporto con cui ne parli, deduco sia un buono scrittore, uno di quelli capaci di invogliare a voltare pagina e di lasciare il segno.
Da come mi hai presentato “La donna dei fiori di carta” non fatico a immaginare quanto la storia ti abbia coinvolta, in quell’eterno tormento del lettore, tra la volontà di conoscere il finale e la speranza di non giungere mai all’ultima pagina.
Buon anno (in ritardo) e buona epifania! 😉
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