Tra esaltazione e paura – L’abbandono di EFP

11293057906_1a39c10781_oAvevo detto che avrei scritto un post sulle ragioni che mi hanno portata ad allontanarmi da EFP e così eccomi qui.

L’inizio
Mi sono iscritta a EFP (noto sito italiano di fanfiction) nel 2009, quando ho pubblicato la mia prima storia nel fandom di Angel’s Friends.
Sorvolando sulla qualità del mio scritto (che comunque è ancora visibile in internet), all’epoca mi sembrava la fanfiction più bella del mondo e potete immaginare la mia felicità quando ho ricevuto la prima recensione. Ed era pure positiva!
In quel momento, ho provato la fase dell’esaltazione.
Qualcuno apprezzava il mio lavoro e io ero convinta di essere brava.

 

Death Note – Un nuovo fandom
Qualche mese dopo ho iniziato a scrivere nel fandom di Death Note (con fandom si intende un gruppo di appassionati che condividono un interesse comune).
Mi sono accorta, leggendo le altre storie, che il livello linguistico era mediamente più alto del mio e mi sono sentita in imbarazzo per il mio stile scialbo condito con abbondanti frasi sconclusionate.
Nonostante questo, ho deciso di provarci e ho pubblicato una fanfiction che, increbilmente, ha ottenuto riscontri positivi (confesso che per interpretare alcune di quelle recensioni ero stata costretta a ricorrere al vocabolario).
Col tempo, più leggevo storie di autrici note nel fandom (Redseaperl, Lirin Lawliet e Myrose), più mi rendevo conto di non essere al loro livello.
Così leggevo e scrivevo di più.
“Leggi” mi dicevo “e migliorerai. Scrivi di più. Recensisci. Recensire aiuta.”
Insomma, tutto andava bene per fare esperienza e quando ricevevo un commento positivo da una delle mie tre muse mi sentivo esaltata, perché ce l’avevo fatta: avevo scritto qualcosa di bello, che piacesse anche a loro.

 

La Paura
L’esaltazione, però, ha avuto vita breve ed è subentrata la paura: paura di non riuscire a ripetermi, paura di sbagliare, paura di non ricevere nemmeno una recensione, paura di essere incoerente.
Ogni volta che pubblicavo qualcosa, fosse un racconto o il capitolo di una storia, sentivo l’ansia che mi assaliva e il terrore cieco di vedere una bandierina rossa, segno di una recensione negativa, si faceva strada dentro di me (quando mi sono iscritta non esistevano le bandierine, poi col tempo sono state introdotte e sono diventate il mio incubo).

Scrivere era diventato una tortura, più che un piacere.

Imputo la comparsa di questa fobia al fatto che iniziavo a rendermi conto, per la prima volta, dei difetti contenuti nelle mie storie: all’inizio pubblicavo ogni genere di schifezza immonda, senza farmi troppe domande ma, col tempo, ho iniziato a notare delle voragini nella trama, la scarsa caratterizzazione dei personaggi, il ritmo lento, l’assenza di una scansione temporale. Potrei continuare per giorni.

 

Lo sfogo
Nell’estate del 2011 è successa una cosa che mi ha fatto abbandonare progressivamente EFP. Redseapearl ha pubblicato uno sfogo (ancora visibile sulla sua pagina) di cui vi riporto alcuni passi:

“Avevo intenzione di interrompere per sempre le fic e continuare a scriverle privatamente per poi passarle una volta finite ai pochi lettori che mi hanno sostenuta fino a qui […]
Sono arrabbiata con alcune persone […] perché accampano continuamente scuse per non recensire come ‘Non ho avuto tempo’ o ‘Mi è piaciuto così tanto che non so cosa dire’, quando invece il tempo e le parole per altre storie e autori riescono sempre a trovarli.
[…] 
In seguito, gironzolando per EFP, sono arrivata ad un’altra consapevolezza: il problema non sono queste persone, il problema sono io e il mio troppo impegno nello scrivere, leggere e recensire con le mie aspettative troppo alte.
[…] mi sono resa conto che il motivo del mio malessere era proprio l’eccessivo impegno che mettevo nelle storie, quando invece certe storie riscuotono un successo fenomenale senza il minimo sforzo.”

Quando l’ho letto, ho pensato “è questo! È questo il mio problema!” e ho preso la decisione di continuare a scrivere solo per me stessa.
Per anni mi sono raccontata la mia bella favoletta: “autori/autrici che scrivono storie piene di errori ricevono un sacco di pareri positivi. Io mi impegno per pubblicare storie accettabili, almeno da un punto di vista ortografico e grammaticale, e ricevo sì e no cinque recensioni a capitolo.
Questo perché la gente non capisce nulla.”
Così mi sono messa sul piedistallo e ho continuato tranquilla a scrivere solo per me stessa, per circa un paio d’anni.
Inutile dire che non ne ho ricavato le soddisfazioni che avrei voluto.
Scrivere era diventato più comodo e facile ma, senza il pensiero di un possibile lettore, non avevo più alcuno stimolo che mi spingesse a migliorare.

 

Marzo 2012
Volevo scrivere ma mi trovavo nella situazione di non avere un riscontro affidabile (il mio parere non contava nulla).
Mi sono fatta coraggio e ho ricominciato a far leggere alcuni scritti a persone di mia fiducia (di cui non temevo il giudizio), senza però interrogarmi in merito al mio abbandono di EFP: la colpa era sempre e solo dei lettori ignoranti.

 

Una settimana fa
Sapendo che prima o poi avrei scritto questo articolo, mi sono trovata a farmi un esame di coscienza.

Mi importava davvero di quante recensioni ricevevano gli altri?
No.

Non m’importava, non ho mai contato le recensioni altrui. L’ho fatto solo in occasione dello sfogo di Redseapearl che, se ben si applicava alla sua casistica, non aveva altrettanto riscontro nella mia.
Il mio malessere non era dato dall’apprezzamento di storie sgrammaticate o da una carenza di recensioni. A me non fregava nulla se una storia scritta ignorando le regole della grammatica o della narrativa aveva successo più della mia, su cui magari avevo speso ore e ore di lavoro.
La verità è che speravo, talvolta, che nessuno lasciasse un commento. Il silenzio era meno spaventoso di quel numerino delle recensioni che si incrementava.

La colpa era della paura che avevo nei confronti delle opinioni dei lettori.

 

Mercoledì 21 ottobre
In occasione della pubblicazione del mio primo racconto su questo blog, ho avvertito la stessa sensazione di timore reverenziale nei confronti dei miei possibili lettori.
Analizzando obiettivamente questo articolo, trovo che sia molto più personale di quanto possa esserlo un racconto di fantasia, eppure provo questo terrore solo quando sottopongo un testo di narrativa al giudizio altrui.

Scusa, Chiara, ma se te la fai sotto all’idea che qualcuno legga ciò che scrivi, perché vuoi pubblicare?

Potrei dirlo con cento o mille parole, potrei parlarvi di un sogno e sono certa che un giorno lo farò.
Per ora, siccome sono convinta che nulla accada per caso, vorrei lasciarvi con una citazione tratta dal blog “Il bisogno di scrivere”, di Scrittore55, in cui mi sono imbattuta venerdì sera:

«Un giorno, a lezione, [il professore] disse a noi studenti che scriviamo sempre per qualcuno. Al che uno di noi, convinto di spezzare il suo ragionamento, gli rispose: “Scusi prof. allora a che servono i diari segreti?”. La risposta del Professore non si fece attendere e fu spietatamente vera: “Guardi, può essere anche chiuso con un lucchetto. In fondo quell’autore e scrittore vorrà sempre che qualcuno lo rompa e lo legga. Nessuno scrive per sé”.»

14 Comments

  1. Ciao Chiara,
    conosci Leo Buscaglia?
    Era un insegnante di pedagogia e scrittore americano di origini italiane, che intendeva gli insegnanti ideali come ponti verso la conoscenza, e invitava i suoi studenti a servirsi di lui per compiere la traversata per poi incoraggiarli, ad opera compiuta, a fabbricarsi da soli ponti nuovi.
    Il suo pensiero, costantemente rivolto all’importanza dell’umanità, era che noi in quanto esseri umani abbiamo delle esigenze: fisiche (inevitabili per la sopravvivenza) ma soprattutto quelle legate alla personalità… Il bisogno di farci vedere, di farci conoscere, di ottenere riconoscimenti, di realizzare qualcosa, il bisogno di goderci il nostro mondo il bisogno di gioire delle meraviglie della vita, il bisogno di assaporare quanto sia meraviglioso essere vivi.
    Naturalmente tutto questo comporta un rischio: l’esposizione di se stessi agli altri.
    Ma è il rischio stesso che ci rende liberi: per imparare e progredire dobbiamo essere liberi di fare esperimenti e tentativi, liberi di sbagliare.
    Continua a condividere ciò che pensi e scrivi e non avere paura del giudizio di chi ti ascolta o legge.
    Prendi nelle critiche quello che può servirti e butta il resto, gioisci degli elogi.

    Sempre il Buscaglia riporta una poesia che ha trovato nella sezione che pubblica manoscritti di gente comune, poeti e scrittori, all’interno della City Lights Book Store di San Francisco (per curiosità ti segnalo che l’unica filiale europea è stata aperta a Firenze).

    “La mia felicità sono io, non tu.
    Non soltanto perché tu puoi essere fugace,
    Ma anche perché tu vuoi che io sia ciò che non sono.
    Io non posso essere felice quando cambio
    soltanto per soddisfare il tuo egoismo.
    E non posso sentirmi felice quando mi critichi perché
    non penso i tuoi pensieri,
    e non vedo come vedi tu.
    Mi chiami ribelle.
    Eppure ogni volta che ho respinto le tue convinzioni
    Tu ti sei ribellato alle mie.
    Io non cerco di plasmare la tua mente.
    So che ti sforzi di essere te stesso.
    E non posso permettere che tu mi dica cosa devo essere…
    Perché sono impegnata ad essere me.
    Tu dicevi che ero trasparente
    e facile da dimenticare.
    Ma allora perché cercavi di usare la mia vita
    Per provare a te stesso chi eri tu?”

    (Michelle, nata a San Francisco 1947 – morta suicida nel giugno 1967 poesia tratta dal libro “Io non sono un sacrilegio né un privilegio. Forse non sono competente o eccellente, ma sono presente”)

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    1. Ciao Mary, il discorso che riporti del Buscaglia riguardo ai bisogni fisici e legati alla personalità mi ricorda molto la piramide di Maslow, divisa in Fisiologia, Sicurezza, Appartenenza, Stima e Autorealizzazione (la trovi nel dettaglio al seguente link: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/36/Piramide_maslow.png/400px-Piramide_maslow.png). Condivido la visione dei professori come ponte per la traversata nella conoscenza. Nella mia vita ho avuto la fortuna di conoscere docenti che hanno svolto il loro ruolo nel migliore dei modi, che mi hanno fatto amare la cultura e che mi hanno spinta a crearmi nuovi ponti.
      Per quanto riguarda le critiche, trovo che abbiano l’incredibile capacità di spingere a crescere, se costruttive. Come ho scritto nella presentazione, è stata proprio una critica dei miei genitori a farmi aprire gli occhi e a farmi capire che la mia prosa era peggio di un groviera. Da lì, il punto di svolta.

      Mi piace molto questo scambio culturale nei tuoi commenti e la poesia che mi hai riportato è molto bella.
      L’autorealizzazione è importante (nella piramide di Maslow occupa il vertice) ma deve avvenire da e attraverso se stessi. Utilizzare gli altri come mezzo per riuscire dove noi abbiamo fallito è sbagliato e dannoso soprattutto per chi si trova a subire la pressione psicologica causata dal sentirsi investito di alte aspettative in qualcosa che magari non gli compete.

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    1. Sì, ci sono anche recensioni negative (io stessa ne ho lasciata qualcuna, negli anni).
      Dipende molto dall’età media del fandom. Più l’età di lettori e scrittori è alta, migliori sono le recensioni, siano esse positive o negative (sono più complete e analizzano nel dettaglio anche questioni stilistiche). Ci saranno sempre gruppi di amiche che si recensiscono a vicenda al solo scopo di ricevere complimenti, ma ci sono anche tante persone che recensiscono in modo serio.
      Col tempo hanno anche messo dei vincoli sul numero di parole. Recensioni con meno di 10 parole non vengono considerate tali e arrivano all’autore come messaggio privato.

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      1. Ci sono fandom più esigenti di altri. Ricordo di essermi beccata una recensione neutra sul fandom di Sherlock Holmes solo per aver dato per certa quella che invece è una teoria accreditata, ma non certa!

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  2. Ho avuto incontri di diverso tipo con i pareri dei lettori, prima con il servizio di valutazione testi de “Il rifugio degli scrittori”, poi forum di scrittura delle Edizioni XII (ora chiuso), poi con le valutazioni del Torneo IoScrittore, cui ho partecipato per tre anni. E’ una questione delicata, quella delle opinioni dei lettori. Serve tempo per prenderle nel modo giusto, ma ci si fa almeno un po’ l’abitudine, se si insiste a cercarle. E’ l’unico modo per vedersi dall’esterno prima della pubblicazione e migliorare di conseguenza, perciò il timore e l’eventuale delusione sono un piccolo prezzo da pagare. 🙂

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    1. Temo che l’abitudine riuscirò a farmela dopo una ventina d’anni, almeno. Sono una fifona, ogni volta devo farmi violenza psicologica, però hai assolutamente ragione: senza un parere diretto dai lettori, è impossibile migliorare. Se penso a com’era LEDE prima che ricevessi il parere del mio ragazzo (che è stato spietato nelle sue critiche) e delle mie lettrici cavia, mi viene da ridere per certe “ingenuità” che conteneva.

      Ho deciso che proverò anche la strada dei concorsi letterari, chissà che non aiuti a superare questa “fobia” 🙂

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      1. Secondo me aiuta se ti piazzi bene o li vinci. In caso contrario, dal punto di vista psicologico può scoraggiare, anche se un mancato piazzamento non vuole certo dire che non sei vali come scrittrice. Per me comunque quella dei concorsi è stata un’esperienza molto importante, che consiglio. Credo che fare il passo per tuffarsi nella mischia sia sempre positivo nell’evoluzione di chi vuole scrivere. 🙂

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  3. ormai non frequento praticamente più EFP, anche se ci sono un paio di fc che vorrei finire di leggere. Vissuto con leggerezza credo che sia un bellissimo gioco e un’ottima palestra narrativa. Ci vuole leggerezza, però, un’amica, autrice piuttosto nota, mi ha detto di aver abbandonato la comunità perché si era rivelato un ambiente malato con gente ossessionata dalle storie al punto da faticare a scindere la realtà dalla narrativa. Come per tutto, credo che sia bello se vissuto col giusto distacco e relativizzandone l’importanza.

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    1. Ciao Tenar, benvenuta nel blog! 🙂
      Sul fatto che sia un’ottima palestra narrativa, non posso che darti ragione. Sarò sempre grata a EFP per gli enormi progressi che ho fatto, sia come lettrice che come scrittrice.
      Preso con leggerezza, è molto divertente e, devo dirlo con onestà, da quando ho lasciato EFP non ho più provato quella sensazione di euforia immediatamente successiva alla pubblicazione di una storia.
      Purtroppo il troppo stroppia, in ogni caso. A me non è mai accaduto, ma più volte ho sentito autrici lamentarsi di aver ricevuto recensioni negative, con attacchi personali, per aver scritto storie che trattavano di una coppia non gradita alle lettrici in questione.
      La tua amica ha ragione: c’è gente ossessionata che fatica a scindere realtà e narrativa…

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